SELMA

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Imperdibile!

Selma è un film che tocca le corde più profonde dell’anima.

Di chi ha un’anima.

Non si può restare indifferenti di fronte a secoli di dolore di un popolo discriminato e segregato per il colore della pelle.

Non si può restare indifferenti di fronte al coraggio delle idee dei suoi leader. Di uno in particolare che fece della non violenza il suo Verbo

Un uomo che fece dell’ostinazione pacifica il suo Credo.

Martin Luther King è narrato in Selma senza svilente retorica con un affresco che non indugia sulle pagine più note, per questo ancor più meritevole.

A dar volto e anima al Reverendo è l’appassionato David Oyelowo che, insinuo, proprio perché nero incomprensibilmente privato di una candidatura all’Oscar.

La regista afroamericano quarantaduenne Ava DuVernay ha scelto, come cartina tornasole della battaglia per i diritti civili in America, la marcia che partì dalla cittadina di Selma nella primavera del 1965, in Alabama, profondo sud degli Stati Uniti, per manifestare contro gli impedimenti posti ai cittadini di colore nell’esercitare il proprio diritto al voto.

Selma, come suggerisce il titolo, tra forma filmica e resoconto documentaristico, rammenta come la strada per la libertà sia lastricata dalle pietre della sofferenza.

Così come ribadisce il trionfo della pazienza e perseveranza, del coraggio di porgere l’altra guancia, sul furore “dell’occhio per occhio”.

Epico il dialogo tra Lyndon Johnson (culmine della carriera per Tom Wilkinson) e il governatore, razzista dell’Alabama, George Wallace (ennesima interpretazione superba di Tim Roth) nel quale il presidente degli Stati chiude seccamente la conversazione con una battuta che non lascia repliche: “Non lascerò che la Storia mi giudichi per essere stato uno di voi”.

Considerazione sulla quale dovrebbero meditare molti politici italiani (e non solo) contemporanei brandiscono come clave primordiali xenofobia e “caccia al diverso”.

Una nota anche sul cast monumentale, nel quale spiccano caratteristi in splendida forma, come Giovanni Ribisi e Dylan Baker, concedendosi il lusso di Cuba Gooding Jr e Martin Sheen in due cameo minimali ma di altissimo profilo.

Maestosa e commovente Oprah Winfrey nei panni di Annie Lee Cooper, l’attivista afroamericana che lottò, con indomita ostinazione, per ottenere il diritto al voto.

Inevitabile, mentre scorrono i titoli di coda, riflettere sulla domanda suggerita dalla battuta cult del film: “che succede quando un uomo decide che quando è troppo è troppo?”.