A voce scritta di Roberto Uggeri: Big Eyes

Roberto-Uggeri

Mercante o artista?

Due mondi destinati a incontrarsi solo per  scontrarsi.

Il primo non potrà mai cogliere la sensibilità nell’animo del secondo, interessato com’è soltanto al profitto.

Il secondo, concentrato solo a dar forma alla propria creatività, sarà destinato ad essere sfruttato dalla cupidigia del primo.

Da questo dualismo insanabile prende le mosse l’ultimo film del visionario Tim Burton.

Il suo Big Eyes narra la storia vera di Margaret H.U. Keane, pittrice nata nel ’27 a Nashville nel Tennessee. I suoi dipinti godettero di un notevole successo negli anni ’60. Purtroppo però, per lei, senza goderne di una fama personale.

L’ex marito, infatti, ne divenne il mentore, nonché abile venditore delle sue opere, facendole però passare come proprie. Walter Keane era un mistificatore, con un talento più per la “recitazione”, l’imbroglio, la truffa che non per la pittura. Anzi, probabilmente non dipinse mai una tela in vita sua.

Fu però, indubbiamente, un bugiardo di grande fascino al punto che seppe soggiogare la moglie, con l’inganno e la paura, in una gabbia dorata che la portò sull’orlo della pazzia. Nessuno meglio dell’istrionico Christoph Waltz poteva vestire i panni di un simile fanfarone, amabile seduttore, canaglia luciferina e psicotico schizofrenico.

La prova dell’attore austriaco, cattivo “cult” di Tarantino, è ancora una volta da Oscar.

Anche la regia non delude le aspettative e ci regala l’ennesimo affresco fatto di personaggi, poco integrati e in conflitto con la società, tratteggiato dal californiano autore di Edward mani di forbice, Alice in wonderland, La fabbrica del cioccolato e tanti altri capolavori gotici del cinema moderno. Del resto lo stesso Burton ha dichiarato di essere lontano anni luce da Hollywood, di non amare quel mondo, di lavorarci e basta, di essere chiuso, solitario e arrabbiato. Una rabbia nei confronti “del sistema” che traspare anche stavolta.

Non a caso i registi hanno, spesso, bisogno di un magnate che creda in loro.

La storia ha comunque un lieto fine. Un messaggio di speranza, se pensiamo che si tratta di episodi realmente accaduti.

La giustizia americana accertò, infatti, oltre ogni ragionevole dubbio, che le opere erano di Margaret Keane. Walter fu condannato per calunnie nel 1986 e  morì nel 2000, dimenticato da tutti e senza aver dipinto più un quadro. Forse non ne aveva mai fatto neppure uno. Margaret invece è ancora oggi un’artista apprezzata, all’età di 88 anni continua a realizzare tele con il suo stile inconfondibile che ha lasciato una traccia nell’arte contemporanea. Le sue bambine dagli occhi enormi sono la malinconica metafora che il regista utilizza, abilmente, per scrutare nel fondo dell’animo umano.