Roberto-Uggeri

Un film che pungola il dolore che hai dentro.

Un film che mostra una guerra dimenticata: il secondo conflitto in Cecenia del 1999.

Per il suo “The Search” Michel Hazanavicius ricalca il medesimo impianto narrativo di “Odissea tragica” che Fred Zinnemann firmò nel 1948.

Ma oltre al maestro viennese, in questo neorealismo di ritorno, c’è Roberto Rossellini di “Germania Anno Zero”. Nel ruolo che fu del piccoloEdmund Moeschke in questo caso c’è il Abdul-Khalim Mamatsuiev: ciclopica la sua interpretazione.

Un film che piega in due come un pugno allo stomaco. Una fiera che morde e non molla la presa.

A passo lento eppure avvincente. Scevro da ogni retorica.

The Search, come suggerisce il titolo, è una lunga e appassionante ricerca: Ciascuno insegue qualcosa, a partire dalla verità che, puntualmente, trova a ogni fotogramma. Senza sconti alla viltà della barbarie umana più bieca.

Un affresco che attinge alla tensione dei dialoghi scarni diKrzysztof Kieślowski.

Ogni interprete è credibile, vero, strappato dalla vita, come fosse ripreso a sua insaputa, come in un documentario.

Anche la scelta di mantenere gran parte dei dialoghi in lingua originale regala all’opera quell’onestà che hanno solo le pagine più meritevoli di Ermanno Olmi e Stanley Kubrik, con facce scolpite nell’ebano e nella pietra di chi non recita perché interpreta se stesso.

A tratti “Albero degli Zoccoli” a tratti “Full Metal Jacket”.

Un film di una violenza insopportabile proprio perché, invece di ostentarla, la svuota da ogni spettacolarizzazione. Non indugia sul dolore, lo sublima, lo svuota, lo accenna negli sguardi, nei silenzi, nei passi affannati, nelle rughe dei vecchi, nei taccuini dei cronisti.

Uno straordinario distillato di verità anche negli sguardi fieri di un popolo vilipeso nella sua dignità più profonda eppure ancora capace di aprirsi in un sorriso, perché è semplicemente nella natura dell’uomo sorridere.

Niente sembra andare come dovrebbe.

Ci mostra una serie di avversità che paiono insormontabili e che mettono a dura prova il nostro mondo preciso e incasellato. Eppure quel mondo, disordinato e spaventoso, a un passo da un girone dantesco, così lontano da noi, c’è. Esiste.

Unica via di uscita, quando le barriere sembrano insormontabili, si rivela essere la musica con la tenera citazione della colonna sonora del più dolente film americano, meno americanofilo, che sia mai stato fatto sull’orrore della guerra: Il cacciatore di Michael Cimino.

The Search ci mostra l’odio a un passo dalla follia. È un vortice che dilania carne e animo. Lentamente e, al tempo stesso, come in una corsa a perdifiato verso gli abissi più oscuri dell’animo.

Ciononostante i bambini giocano. Tra le macerie. Tra case crollate e le strade di terra battuta un pallone rotola. La vita continua anche dove esplodono le bombe.

Ma chi sta cercando davvero qualcosa o qualcuno?

Forse la ragazza che ha perso i genitori uccisi e si mette sulle tracce dei fratelli?

Il fanciullo che prova a dimenticare, in un silenzio ostinato, le ferite? Il soldato che vuole partire per il fronte senza immaginare cosa lo attenda davvero? La cooperatrice internazionale che cerca le risposte della vita nel percorso di aiuto a mille disperazioni? O la giornalista europea che insegue se stessa fuggendo dagli agi del mondo occidentale e da una famiglia che si percepisce soffocante?

Solo il fatto che Michel Hazanavicius lo abbia già vinto con “The Artist” giustifica il fatto che non gli sia stata assegnata un altro Oscar..

“The Search” ci consegna una certezza: nessuno di noi può sapere cosa incontrerà sul cammino della vita.

Tutti abbiamo il diritto di sperare e di ricominciare, anche dopo il dolore più inconsolabile.

La guarigione è sempre possibile e a volte passa anche solo attraverso una canzone … dei BeeGees.

Il finale salvifico riconcilia con la vita.

Tutto finisce. Là dove era cominciato.