“A voce scritta” di Roberto Uggeri: Robert Plant – “Lullaby And…The Ceaseless Roar”

Roberto-Uggeri

 

Siamo circondati da un tale vuoto pneumatico che anche l’album di un grande artista, a fine corsa, rischia di passare per una pietra miliare.

Pur riconoscendo il valore artistico dell’opera, Lullaby and… The Ceaseless Roar dell’ex Led Zeppelin Robert Plant non riesce mai a coinvolgermi sino in fondo.

È sicuramente un mio il limite.

La qualità dell’incisione è indiscutibile. I richiami orientaleggianti e celtici danno un ampio respiro storico e culturale ma il disco non decolla mai. Potrebbe osare di più e non lo fa.

È ovvio, a parer mio, non è Cassazione. Ci mancherebbe. Chi sono io per giudicare  un monumento del Rock? Lo dico da ascoltatore. Punto.

Da appassionato. Con la serenità di chi ha acquistato quasi tutto di Plant e dei Led Zeppelin. Sarà che ho ascoltato più di trent’anni di musica. Sarà che più è monumentale l’artista e più crescono le mie aspettative. Tant’è che spesso rimangono disattese. Lo scrivo con tutto l’affetto e la delicatezza che posso.

Ben inteso, rispetto al poco e nulla del panorama contemporaneo, “Lullaby And… The Ceaseless Roar” resta un lavoro intelligente e ambizioso. Forse troppo.

Troppo per essere compreso con tutti i limiti che ho.

Va riconosciuto a Plant di non aver fatto un’operazione nostalgica, come quella di Jimmy Page che ha rispolverato i lavori in studio dei Led Zeppelin. Plant, figura di maggior fascino, ha saputo evolversi con lo scorrere delle stagioni, evitando il precipizio verso la caricatura di se stesso. Non si è cristallizzato nella sua epoca. Ha saputo cambiare. Ricercare. Sperimentare. Con questo disco sposta nuovamente la rotta, con lo sguardo rivolto verso il nord Africa, l’Inghilterra, il Galles.

In effetti, pensandoci bene, come suggerisce il proverbio, chi lascia la strada vecchia per prender quella nuova …